Cultura

Il marmo: la storia del marmo dai romani a oggi

Tutto il territorio delle Alpi Apuane è caratterizzato dalla presenza di immensi giacimenti di marmo pregiato e famoso in tutto il mondo, la cui escavazione, secondo le testimonianze storiche, risale almeno al 155 a.C., quando venne scolpito il primo monumento in marmo del Polvaccio, località nel bacino di Torano (quest’ultimo con i Canali di Miseglia e Colonnata fa parte della Valle del Carrione). Si trattava di una lapide poggiante su base dedicata a Marco Marcello, il console che sconfisse definitivamente i Liguri-Apuani, ritrovata tra le rovine di Luni. Si può affermare quindi che le origini dell’escavazione e della lavorazione del marmo risalgano alla romanizzazione dell’area apuana.

Plinio, nella sua Naturalis Historia, scrive che il primo a “pubblicizzare” la bellezza del marmo apuano fu Mamura, Prefetto dei Fabbri al seguito di Giulio Cesare. Strabone dichiara che dopo il 48 a.C. le abitazioni più ricche di Roma e dintorni e i principali monumenti erano realizzati in marmo lunense: il Pantheon, la Piramide di Cestio, il Portico di Ottavio, il Tempio di Apollo Palatino, il Tempio della Concordia, l’Arco di Claudio, il Foro Traiano, la Colonna Traiana, il Tempio di Giove, l’Arco di Domiziano, il Ponte sul Volturno.

Le cave di Carrara, nei diversi periodi storici, lavorarono soprattutto per una committenza forestiera attratta dai marmi lunensi. Gran parte della storia dell’arte italiana dovrà la sua secolare fama ai marmi cavati dalle Alpi Apuane, a cominciare dai molti edifici cristiani che furono abbelliti con decorazioni architettoniche  in marmo. A tal proposito si possono citare, giusto per limitarsi alla Toscana, il Battistero di Firenze, il Duomo di Santa Maria del Fiore e il Campanile Giottesco, le basiliche fiorentine di Santa Croce e Santa Maria Novella, la Collegiata di Empoli, la Cattedrale e  il Battistero di Pisa, il Duomo di Siena. La stessa Carrara, poco dopo l’anno Mille, iniziò la costruzione del suo Duomo fondendo caratteri lombardi e toscani e ornandolo di uno splendido rosone di finissima qualità.

Alcuni documenti testimoniano l’affluenza di scultori e architetti noti che venivano a scegliersi i marmi statuari, lasciando in città un’impronta della loro arte: ne sono esempi Nicola Pisano, che nel 1265 venne a Carrara per scegliere i marmi adatti alla realizzazione del Pulpito del Duomo di Siena, e più tardi Michelangelo, ai cui soggiorni carraresi la guida dedica un apposito capitolo.

Nel corso di due millenni, dalle origini ad oggi, la produzione marmifera ha subito numerosi cambiamenti in ogni sua fase: dall’escavazione, al trasporto, ai modi di trasformazione. Fino al XVI secolo i modi di escavazione rimasero pressoché immutati (si trattava dei metodi che staccavano le bancate per frattura, ed erano praticati fin dai tempi dai romani), finché non si verificò un evento che diede inizio alla prima vera rivoluzione industriale: nelle cave di Carrara, nel 1570, venne usata per la prima volta la polvere pirica per le mine, avvenimento che entusiasmò il marchese Alberico I Cybo-Malaspina al punto che si decise di coniare una moneta celebrativa. Il sistema di distacco del blocco di marmo dal monte risultava in questo modo rapido ed economico, ma col tempo provocava fenditure dannose nel monte e aumentava notevolmente la quantità di detriti. Nel XIX secolo si passò a metodi sempre basati sulle mine, ma che comportavano distacchi più grandi e più spettacolari (le “varate”),  e che tuttavia causavano anche effetti dannosi sull’ambiente (oltre che grandi sprechi di materiale).

Nel 1895 venne sperimentato il filo elicoidale, poi introdotto con successo in pressoché tutte le cave: con esso si evitava la frantumazione dei blocchi, si riduceva la quantità dei detriti, si facilitava la riquadratura dei massi e si manteneva la cava in efficienza. Il filo diamantato ha fatto invece la sua comparsa negli anni Settanta del Novecento.

Inoltre, sempre agli inizi del XX secolo, furono modificate anche le tecniche della movimentazione dei blocchi e del materiale di scarico: si utilizzarono infatti moderni argani elettrici, che permettevano lo spostamento di grossi blocchi con velocità e sicurezza e carrelli che scorrevano su piccole ferrovie sostituirono carriole in legno. L’installazione di un importante impianto che generalizzò nel 1910 l’uso dell’energia elettrica facilitò l’utilizzo di vari tipi di motori che integravano l’energia umana.

Oggi, la tecnologia nelle cave ha compiuto grandi progressi: gli strumenti hanno integrato o sostituito il lavoro dell’uomo. Si utilizzano telai monolama a diamante, pale meccaniche, macchine operatrici multiuso, macchine perforatrici: sistemi di lavorazione all’avanguardia nell’innovazione tecnologica in campo mondiale.

Per quanto riguarda il sistema di trasporto, dal tempo dei Romani fino a pochi decenni fa si praticava la lizzatura per spostare i blocchi dai fronti di cava fino ai piazzali. Qui, fino ai primi decenni del Novecento, il trasporto si effettuava anche con l’uso di carri trainati da buoi, i quali, stremati per l’enorme sforzo, talvolta morivano lungo il percorso. Una volta raggiunto il litorale, i blocchi erano trasportati sulle imbarcazioni che, al tempo dei Romani, partivano da Luni; dopo l’anno Mille i blocchi venivano prima caricati su piccole imbarcazioni nel litorale avenzino e poi trasportati sulle navi al largo.

Il piccolo approdo medievale di Avenza era frequentato da navi diverse tra loro per forma, provenienza e portata, che rappresentavano le varie marinerie, compresa quella locale: queste trasportavano i marmi lungo il Tirreno, dalla Sicilia a Genova.

Per secoli il trasporto dei blocchi di marmo dalla cava al litorale e il carico degli stessi sulle barche costituì un problema con conseguente limitazione allo sviluppo delle attività estrattive, soprattutto per il costo elevato.

L’idea di un porto a Marina d’Avenza, chiamata successivamente Marina di Carrara, si ebbe dopo la metà del Settecento. Venne scelta Marina d’Avenza poiché si doveva tener conto del fenomeno di avanzamento della linea di costa. Inoltre risale a quel periodo la distesa di macchia piantata, che da Avenza si estendeva fino alla prossimità della spiaggia, con la funzione di difendere dagli effetti delle libecciate le nuove terre coltivate. Il progettò del porto però non fu realizzato: solo un ponte caricatore fece la sua comparsa nell’Ottocento.

Risale invece al 1876 l’apertura della Ferrovia Marmifera, che sostituì gradualmente il trasporto tramite buoi. Occorsero invece molti anni per un sistema che sostituisse la lizzatura: nell’ultimo dopoguerra si smantellò la Marmifera e si costruì una rete viaria nei bacini marmiferi, permettendo ai mezzi gommati di caricare i blocchi direttamente in cava e di portarli nei luoghi di trasformazione.

L’infrastruttura che ha fornito un contributo essenziale allo sviluppo dell’industria del marmo apuano è stato proprio il porto di Marina di Carrara, costruito a partire dal 1921. Al porto apuano fanno capo diverse linee di navigazione collegate con nazioni del Nord-Europa, con la penisola iberica, con il Canada, con il Brasile, con il Sudafrica, con la Cina, con l’India: i principali paesi  verso i quali viene importato materiale grezzo.

Anche se si pensa infine a come era organizzata una cava e ai luoghi dove il marmo veniva trasformato e lavorato si notano molti cambiamenti. Nel Medioevo maestranze di pisani, fiorentini, senesi e orvietani si insediarono nelle cave apuane al fine di esportare i nostri marmi per utilizzarli nelle grandi imprese delle loro città. Da questo fenomeno scaturì la nascita del primo ceto di artigiani imprenditori del marmo carrarese.

A metà del Quattrocento le cave erano organizzate secondo una corporazione di lavoratori, denominata “Ars Marmoris”: gli affiliati svolgevano tutte le fasi dell’escavazione e della lavorazione del marmo, nonché il suo commercio. Occorre però attendere quasi un secolo per la comparsa delle prime botteghe, tra cui la più nota era quella fondata da Bartolomé Ordoñez (Burgos, 1480 – Carrara, 1520), uno dei più importanti scultori iberici del Rinascimento, giunto nel 1519 a Carrara per realizzare opere commissionate dalla corte reale spagnola. Nelle botteghe ognuno aveva la sua specializzazione: oltre al maestro, si trovavano gli scultori, gli scalpellini, i lucidatori, e molti altri addetti a diverse mansioni.

Se l’attrazione verso i grandi centri culturali come Roma e Napoli condusse gli artisti carraresi a trasferirsi o a compiere lunghi soggiorni in queste città (in città non ci fu mai una scuola locale propriamente detta), ci furono anche momenti in cui gli scultori avvertivano il desiderio di creare nella città d’origine luoghi in cui radicare le loro tradizioni: molti artisti carraresi quindi, dopo aver trascorso periodi fuori città per apprendere e migliorare le loro tecniche, tornavano a Carrara, dove si stabilivano definitivamente con i loro laboratori.

Per stimolare la lavorazione locale dei marmi prodotti nacque alla fine del Settecento l’Accademia di Belle Arti, a cui erano legati laboratori artigiani. Una forte crescita di questi ultimi è attestata in epoca napoleonica.

Generalmente ai laboratori gestiti da famiglie di marmorari venivano commissionate importanti opere da artisti e architetti famosi, poiché qui artigiani specializzati svolgevano il loro lavoro con serietà e competenza e inoltre il lavoro veniva diviso, frammentato, seguendo le competenze di ognuno di essi, cosicché ne risultassero opere di straordinaria qualità.

Con il XX secolo il numero dei laboratori diminuì sempre di più, ma al contrario il numero dei lavoratori impiegati in ciascuno di essi crebbe maggiormente. Vennero introdotti macchinari moderni e i laboratori assunsero un aspetto sempre più industriale, fino ad arrivare ai giorni nostri in cui i pochissimi rimasti sono legati alle segherie.

L’industrializzazione e le nuove tecnologie nate grazie all’informatica non sono riuscite a cancellare tuttavia quei laboratori che possiedono una lunga e radicata tradizione e che ancora oggi custodiscono saperi millenari, formano generazioni di giovani artisti e producono sculture che saranno poi inviate in tutto il mondo.